domenica 22 novembre 2009

Stralcio dal II° Capitolo

“Può lasciarmi anche qui all’angolo in Place de la Republique. Grazie.”

“Prego monsieur, ma lei è italiano, vero?”

“Si sente molto?”

“Appena. Ho un orecchio allenato con la mia professione.”

Mentre annuisco noto che siamo giunti alla fine di Rue du Temple.

“Va bene anche qui. Accosti pure.”

Pago e mi tuffo nel turbinio di auto e persone che affollano Place de la Republique a tutte le ore del giorno e della notte.

Grazie a Caroline ho migliorato ulteriormente il mio già buon francese e sono perfettamente padrone della lingua, anche se, come ha detto il tassista, un po’ accento di italiano si sente sempre. Io da napoletano poi, figuriamoci.

Deve averlo capito anche il tassista, visto che non ha fatto il giro del mondo portarmi qui dal Teatro dell’Opera.

Ho appuntamento alle 16,30 al Commissariato, quindi ho tutto il tempo di posare i bagagli, rinfrescarmi e andarci. Il profumo delle immancabili crèpes mi tenta, ma non ho tempo ora. Magari ripasso al ritorno, tanto non credo ci vorrà molto tempo, e una bella dose di zucchero dopo non potrà farmi altro che bene!

Non mi meraviglia che non mi abbia contattato nessuno della famiglia di Caroline, sicuramente anche loro avranno ricevuto un avviso analogo al mio ma non glien’è mai importato nulla di lei.

Infatti, quando circa quindici anni fa il padre morì, Caroline andò via di casa perché non sopportava la madre, che lei definiva come una donna “completamente ottusa e solo piena d’odio contro il mondo”, ed il fratello minore Sylvain, a cui lei voleva bene anche se lui non l’aveva mai trattata da sorella.

Caroline ha sempre tentato di convincere la madre a far vedere Sylvain da uno specialista. Pensava avesse una forma di autismo o addirittura turbe psichiche, ma la donna non aveva mai voluto ammettere che il figlio avesse un problema, tanto che per risolvere la grana gli aveva fatto finire le scuole medie e poi se lo era tenuto sempre in casa.

Il padre, benché amasse entrambi i propri figli, aveva una predilezione per Carol, originata, secondo me, anche dalla morbosità con cui la moglie si dedicava ad accudire il figlio secondogenito trascurando il marito e la sua prima figlia.

Caroline mi ha sempre detto di aver molto sofferto per questa disuguaglianza di trattamento e che in cuor suo ci sarebbe sempre stato molto risentimento verso la madre per la sua infanzia infelice. La madre l’aveva sempre costretta ad accontentare i voleri del fratello Sylvain perché, come gli ripeteva continuamente, era più piccolo e indifeso. Lei, quindi, veniva sempre dopo. Dopo tutti quanti. Dopo Sylvain.

Ma non per il padre. Lui la portava fuori a giocare da sola, a prendere il gelato a Montmartre, a guardare Parigi dai binocoli del belvedere del Sacre Coer.

Tante volte mi aveva parlato del suo passato e mi diceva che io mi comportavo con lei come faceva il padre, dedicandole tutte le attenzioni di cui ero capace.

Per lei il padre era il suo unico contatto bello con il mondo. Il resto era solo repressione, isolamento e cattiveria subiti da parte della madre burbera.

Così Caroline, appena il padre ebbe chiuso gli occhi, quel giorno stesso, decise di andarsene di casa. Appena ebbe organizzato tutto, scappò con un suo compagno di scuola all’istituto d’arte, di circa tre anni più grande di lei, David mi pare si chiamasse e che si stava quasi per diplomare.

All’epoca lei aveva sedici anni.

Era stata in giro con lui in vari alloggi di fortuna a Parigi fino a quando lei ebbe compiuto venti anni.

Quell’anno si lasciarono perché lui si era trovato invischiato in una strana situazione, che Caroline mi ha sempre definito come “una sporca storia”. Io non ho mai voluto approfondire perché ogni volta che me ne parlava ne restava molto turbata. All’epoca pensavo che il tempo avrebbe guarito quella ferita ed un giorno lei me ne avrebbe parlato apertamente.

Invece il tempo ha cancellato la sua voce ed ha aperto ferite ben più profonde nella mia anima.

Dopo aver lasciato David, Caroline, che, nel frattempo, era comunque riuscita a prendere il diploma, si iscrisse alla facoltà di Architettura dell’Università della Sorbona. Qui Caroline conobbe Massimo Campi, uno studente italiano di Roma in trasferta a Parigi, di poco più piccolo di lei d’età, con il quale cominciò a studiare insieme e di cui poi se ne innamorò andandoci a convivere insieme fino alla laurea.

Appena laureata Caroline venne in Italia con Massimo e trovò lavoro con lui presso un importante studio di Architettura di Roma. All’epoca aveva circa ventisei anni.

Massimo era innamoratissimo di Caroline, almeno quanto lei lo era di lui. Avevano anche parlato di sposarsi, e Massimo aveva chiesto a Caroline di poter terminare il cantiere che stava seguendo a Napoli per potersi concedere una bella luna di miele.

Purtroppo un giorno di novembre del 2003 ci fu un incidente in cantiere e Massimo, insieme a tre, persero la vita per il crollo delle scale dell’edificio che stavano ristrutturando.

A Napoli non piove mai tantissimo, ma quel giorno si ricorda ancora come uno dei più piovosi mai registrati nel capoluogo campano.

Caroline, anche se ancora sconvolta dalla morte del fidanzato, decise di prenderne il posto nella direzione del cantiere per continuare l’opera di Massimo e portare a termine il lavoro.

Era il suo modo per non sentirsi troppo lontana da lui, visto che aveva già deciso di tornare a Parigi dopo il termine dei lavori chiudendo questo capitolo della sua vita.

Io fui incaricato dallo studio di Architettura presso cui lavoravano Massimo e Caroline di curare la pratica di risarcimento da parte dell’Istituto di Assicurazioni. La incontrai durante i consulti preliminari e poi successivamente per tutta la durata degli accertamenti tecnici da parte dei periti.

Immediatamente rimasi colpito da un particolare. Era una donna il cui fascino e la cui bellezza riuscivano a convivere senza prevalere l’uno sull’altro. Quando cominciava a parlare, un po’ per il suo dolce accento francese, un po’ per l’autorevolezza che pervadeva i suoi movimenti, i sui atteggiamenti ed i suoi discorsi, tutti gli altri la ascoltavano silenziosamente.

La pratica di risarcimento durò oltre un anno ed i lavori di ristrutturazione proseguirono poi per altri sei mesi. Durante tutto questo tempo ho incontrato Caroline molte volte, cosa non molto difficile ora che l’avevo conosciuta e visto che abitavamo molto vicini.

L’avevo già notata in giro per il quartiere. E come non notarla?

Successivamente, dopo un paio di incontri consecutivi durante le mie corse mattutine avevamo preso a fare jogging assieme.

Ci siamo messi insieme circa due anni dopo la morte di Massimo e quasi al termine dei lavori che lei stava seguendo.

Lo studio di architettura presso cui lavorava, come previsto, aveva già disdetto il suo appartamento ed entro giugno di quell’anno, come già annunciato tempo prima, Caroline si sarebbe licenziata per tornare a Parigi.

Ma non andò così. O meglio, in parte andò così e in parte no.

I lavori all’edificio, come preventivato da Caroline, furono terminati entro giugno e lei aveva lasciato il lavoro.

Ma non era tornata a Parigi.

Si era trasferita a Napoli in casa mia, a circa trecento metri dalla casa dove aveva alloggiato durante i due anni dei lavori. Nella sua mente era già chiaro il modo in cui avrebbe personalizzato e migliorato il mio appartamento e, come aveva promesso tempo prima, mi diede l’ultimatum.

“Ok avvocato Corrado Verdelli. Da oggi ufficialmente non vivi più da solo in questa topaia. Quindi da domani, visto che è sabato, voglio che tu butti via tutta questa robaccia”

“Robaccia?”

“Si e butta via anche quella tua scrivania. Hai uno studio, quindi la scrivania a casa non serve. Qui non si lavora. Si ama!”

Svoltato l’angolo di Place de la Republique mi avvio sul Boulevard Saint-Martin per raggiungere l’albergo che dista circa cento metri. Mi andava di fare questi quattro passi.